L’altro giorno David Ignatius, editorialista del Washington Post, ha dichiarato sentenzioso che «si è smarrita la verità». Si riferiva naturalmente alla «verità» secondo il governo degli Stati Uniti. Ignazio ha recentemente intervistato Richard Stengel, un funzionario del Dipartimento di Stato responsabile per le «relazioni pubbliche», un tizio che ha già lavorato per la rivista Time, una fonte stellare di «verità made in Usa». Le cose sono sempre più difficili, dice Stengel. «Siamo entrati nel mondo delle pseudo-verità, dove i fatti vengono spesso sopraffatti dalla propaganda della Russia e dello Stato islamico». Risulta fin troppo facile intuire l’obbiettivo di tali congetture, così come risulta clamoroso quanto scandaloso equiparare la Russia all’ ISIS per molti aspetti, a partire dal fatto che i primi sostenitori dello jihadismo salafita si trovano proprio a Washington DC.
In questa pseudo intervista priva di domande sconvenienti, Stengel prosegue…«come possiamo proteggere la risorsa essenziale della democrazia – la verità – dalla tossina di bugie che la circonda? E’ come un avvelenamento da virus o alimentare. Ha bisogno di essere controllato. Ma come?” Il funzionario del Dipartimento di Stato lamenta il fatto che la gente non crede quanto dovrebbe al governo degli Stati Uniti, la qual cosa non è esattamente una rivelazione. Il “gap di credibilità” nacque durante la guerra del Vietnam. In effetti, il divario tra la realtà e ciò che il governo degli Stati Uniti dichiarava sulla guerra era abissale e la realtà percepibile e testimoniata fu tale da restare viva nella memoria degli americani stessi. Allora, c’erano ancora i giornalisti che avevano il coraggio di parlare contro la linea di Washington. Quando il giornalista americano Seymour Hersh scoprì il massacro di My Lai, nel marzo 1968, fu la rivista Life che pubblicò le fotografie degli uomini, donne e bambini vietnamiti uccisi dai soldati americani.
E’ chiaro che il Dipartimento di Stato americano necessiti di un colpevole per questa perdita di credibilità e, naturalmente, va proposto qualcosa che potrebbe incontrare qualche credibilità se riconducibile ad una fazione avversa come la Russia. Da qui a puntare chiaramente il dito contro media come “Russia Today” e Sputnik mancava nulla., essendo i più diffusi tra i supporti “ostili” di lingua inglese con sede a Mosca e finanziati dal governo russo. Secondo il Dipartimento di Stato, i russi sarebbero addestrati con i sistemi del vecchio KGB. Per loro, le notizie non sarebbero «informazioni di guerra», viceversa, esse costituirebbero uno «strumento per fare guerra». Identico atteggiamento da parte dell’ Unione Europea: proprio ieri, il cancelliere tedesco Angela Merkel, ha detto che «la verità deve essere protetta con decisioni che contemplino azioni contro i media che minacciano la stabilità del nostro ordine familiare». (inquietante direi)
Nei giorni scorsi, il Washington Post ha pubblicato una lista nera di 200 agenzie di stampa alternativa accusate di diffondere «notizie false». «L’impegno Russo nella propaganda», era il titolo dell’articolo del Post in cui si può leggere, «la Russia ha contribuito a diffondere ‘notizie false’ durante le elezioni …». La lista nera sarebbe pervenuta da un oscuro gruppo anonimo chiamato “PropOrNot”. Allo stesso tempo, “US Turning Point”, una ONG di destra, ha creato una Lista di 200 professori universitari che sono apparsi nella televisione RT o si sarebbero espressi in modi troppo critici a proposito della politica estera americana. A proposito di questa situazione, i lettori possono chiedersi chi siano in realtà i produttori di «notizie false. A metà novembre, il portavoce del Dipartimento di Stato, John Kirby ha dichiarato, durante una conferenza, che alcuni jet russi avrebbero «deliberatamente» bombardato cinque ospedali e una clinica mobile occupata dagli jihadisti ad Aleppo. Una giornalista di RT era presente ed ha posto una domanda. «È possibile specificare quali ospedali e quale clinica mobile sarebbero stati colpiti?»
Kirby non era in grado di nominarle. «Abbiamo ottenuto le nostre informazioni da organizzazioni umanitarie». (emblematico direi). Ma la giornalista di RT voleva sapere: “quali organizzazioni umanitarie?”. Il confronto è andato avanti per un po’: la giornalista RT chiedeva i nomi e i dettagli che Kirby non aveva e non poteva dare. «Lei cita i rapporti senza fornire dettagli». Alla fine, il signor Kirby ha perso la calma e ha cercato di intimidire la giornalista. Che fine hanno fatto i giornalisti americani di una volta che non avrebbero tollerato la prepotenza del signor Kirby? I cosiddetti “muckrakers” non esistono più, soprattutto in testate come il New York Times, il Washington Post, la CNN, e il Mainstream Media (MSM); nessuno di loro mette in discussione la narrazione del governo degli Stati Uniti su ciò che accade nel mondo.
Proprio di recente il Parlamento europeo ha votato, anche se lontano dal’unanimità, una risoluzione di condanna nei confronti di RT e Sputnik, definiti come «strumenti della propaganda russa». Un eurodeputato ha anche sostenuto che «siamo in guerra con la Russia». Che imprudente, che cosa stupida da dire. Lui, ovviamente, non ha alcuna idea di che cosa significhi essere in guerra con la Russia, ma i tedeschi lo sanno però quel che vorrebbe dire. «Si possono ingannare tutte le persone per un po’ di tempo, e alcune per sempre», questo disse il presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln, «ma non si può ingannare tutto il popolo per sempre». I Media alternativi assicurano il continuo di questa vecchia idea.
Continuino pure a spacciarsi per paladini della democrazia, a camuffare l’imperialismo in “difesa nazionale”, a definire missioni di pace quelle di guerra, ma noi continueremo a proporre la verità che riterremo essere tale.
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